Un vecchio adagio popolare, diffuso in molte aree del Settentrione, suona più o meno così: «gente de’ cunfin, o lader o assassin». È un motto che si adatta bene anche alla storia del lago d’Iseo e delle sue sponde, attorno a cui ruotavano interessi economici non indifferenti che, come sempre accade, portarono ad accesi scontri per accaparrarsi la fetta di guadagno più grossa.
VENEZIA, COMUNITÀ LOCALI E POTERI FEUDALI
Nei primi decenni del Quattrocento, il lago d’Iseo venne inglobato assieme a Bergamo e Brescia nei territori della Serenissima Repubblica di Venezia. Tra i più abili a salire sul carro del vincitore, con una accorta politica filolagunare, vi furono i Conti di Calepio, capeggiati dall’abile Trussardo. Non c’era da scherzare, con questa casata: era una famiglia potente, determinata e di grande calibro. Tra le sue fila vantava elementi di prestigio e ambizione: come quell’Ambrogio Calepio – detto Calepino –umanista e latinista, nonché presunto padre del primo vocabolario della storia; e lo schivo, ma pur sempre importante linguista e scrittore, Pietro Calepio (1693-1762).
Il Leone di San Marco, simbolo della Serenissima
La famiglia riuscì così a ritagliarsi un’area di influenza e potere su alcune comunità della sponda bergamasca del lago – fra queste, la più importante era indubbiamente Sarnico – ottenendo diritti di imposizione fiscale e di tipo giurisdizionale. Ma le comunità locali, capeggiate proprio dalla potente Sarnico, non potevano stare a guardare: dovevano preservare le loro autonomie e soprattutto le loro casse. Infatti, il lago d’Iseo era un crocevia di merci fondamentale: oltre al legname, importantissimo all’epoca come materiale edile e fonte di energia, bisognava accaparrarsi i diritti di pesca, i dazi sui transiti di cereali – che navigavano il Sebino dalla pianura verso Lovere e Pisogne – e sulle ferrarezze della Val Camonica, che lo solcavano in senso contrario.
Di conseguenza, le liti tra le comunità locali e la famiglia Calepio arrivarono per tutta l’età moderna sulle scrivanie dei tribunali veneziani, costretti a una delicata opera di mediazione, volta a non scontentare nessuno in questa area delicata, strategica ed economicamente cruciale. Spesso volavano stracci: in un processo del 1582, i conti accusarono in giudizio Sarnico e le altre comunità di «machinate calumnie», nonché di «doperare gli arcobusi» contro i loro inservienti (altri avrebbero scritto i “bravi”).
SEBINO, PANE E VINO (DI CONTRABBANDO)
In passato, appena ve n’era l’occasione, le merci venivano imbarcate. A conti fatti, costava meno trasportarle via acqua e soprattutto era molto più sicuro, preservando la merce stessa. Basta immaginare degli oggetti artigianali trasportati su carri tra le pietrose vie medievali e moderne per chilometri e chilometri: la possibilità di vederli arrivare interi diminuiva con il passare del tempo sulle quattro ruote. Per questo fiumi e laghi – oltre ai mari, ovviamente – sono sempre stati molto importanti dal punto di vista commerciale. E siccome le merci pagavano tasse in molti porti o piazze, capire chi poteva riscuoterle era spesso un diritto conteso. Nel caso del lago d’Iseo, riscuotere i dazi fu da sempre oggetto di litigi.
Per quali merci disputavano i conti di Calepio e le comunità locali? Le frodi in materia di granaglie, anzitutto. Nel 1652 venne additato il mercato «al loco di Fos nella valle Caleppio» (l’attuale contrada Fosio, ovviamente), su cui si imbarcavano cereali da trasportare di nascosto e, frodando i dazi, al mercato di Lovere e da qui verso le località montane, disposte a pagare molto per averne. Anche l’avo dell’attuale vino Valcalepio veniva spedito via acqua: già dal 1619 si parla dei suoi «indebiti traffichi» e di esportazioni illecite verso ogni piazza confinante.
RIBELLIONI E INSURREZIONI, CON FANTASIA
La fantasia agli abitanti della Val Calepio non è mai mancata, anche quando si trattò di dimostrare la loro insofferenza alla voglia di supremazia degli omonimi Conti. Spettacolare la protesta messa in atto nel Seicento e raccontata in un processo da Michele Ottavio di Luchini e Bartolomeo Visentino: in quasi tutti i Comuni delle sponde del lago i Conti trovarono «spogliate le case di mobili et chiuse le porte con stange» pur di non pagare i balzelli pretesi dalla famiglia feudale. La popolazione si era letteralmente resa irreperibile: «per altri modi si erano absentati dalle case», continua la testimonianza, e gli inviati del Conti di Calepio «non vi ritrovorno alcun mobile eccetto alcune poche stroppe et alcuni vaselli de vino». Un’azione al limite dello scherno, insomma.
In un successivo processo del 1690, gli ufficiali della valle a servizio dei Conti descrivevano così la loro difficoltà a operare a Sarnico e dintorni: «ogni volta, che noi officiali vogliamo andare a far qualche funtione, […] pare, che ci vogliono crucifigere, non volendo mai obbedire». Anche a fine Settecento Sarnico fu teatro di episodi cruenti. Al 1794 risale la famosa insurrezione di Sarnico contro l’eccessivo dazio sull’olio imposto da Venezia, per esempio.
Ancora nel 1862 questa cittadina dal turbolento passato fu scelta dal generale Giuseppe Garibaldi come punto di partenza per una spedizione che aveva come obiettivo l’annessione del Trentino al neonato Regno d’Italia. La missione non ebbe l’esito sperato e fu stroncata – malamente, peraltro – sul nascere. Ma lasciate che quest’ultima sia un’altra storia: ve la racconteremo presto!