Virale, clickbaiting, hashtag, archetypal branding, influencer, youtuber, startup. Orientarsi in mezzo a questa ondata di parole e nuovi concetti che rimandano al mondo digitale può essere un’impresa ardua. A offrire risposte a queste domande ci ha provato il 33enne palazzolese Michele Pagani, che insieme ad Alessia Camera ha appena pubblicato con Hoepli il libro Viral Marketing: testo che ambisce ad essere una nuova bussola per comprendere dinamiche che non possono essere più considerate solo per addetti ai lavori, ma che dovrebbero interessare tutti. Del resto, proprio come scrive Michele nel volume, «siamo vittime del web, sostanza fluida che permea le nostre vite, che si confonde con esse, che ne detta ritmo e modalità. Allo stesso tempo, però, ne siamo gli artefici». Una laurea in Bocconi, esperienza pluriennale nel settore del Marketing come consulente per Social Media e Brand Design, Michele ci ha spiegato come è giunto fin qui.
Ci dici come sei arrivato a scrivere questo libro?
Dopo tre anni di insegnamento in università della materia – all’inizio per me nuova e dall’impostazione diversa da chi come me ha studiato Economia e non Comunicazione – mi sono ritrovato con tanto materiale, esempi, aneddoti e soprattutto una teoria mia che non avevo trovato sui libri. Alessandro e Fabrizio, miei soci in Gummy Industries, hanno giocato un ruolo fondamentale nell’aiutarmi a formularla: ragioniamo sull’impatto e le responsabilità che chi fa comunicazione oggi ha rispetto alla società. Spesso sottovalutiamo che il nostro lavoro influenza le decisioni delle persone. Il libro vuole parlare di marketing e di come farlo per bene. Ci vuole una presa di posizione anche etica quando si spinge la gente a effettuare scelte economiche. D’altronde, la nostra generazione si aspetta dai brand una presa di posizione politica.
Com’è stato scrivere un libro a quattro mani?
È stata una bella sfida, perché io e Alessia siamo amici, ma abbiamo due approcci differenti. Io sono un po’ più filosofo (lei mi definisce così), lei pragmatica. Tuttavia, non ci siamo mai scontrati: abbiamo deciso di creare un oggetto che fosse fatto di due volumi in uno. Inoltre, questo è il mio primo libro, mentre lei ne aveva già scritto uno, così mi ha aiutato nell’interpretare le richieste dell’editore. Io, invece, credo di averla spronata e supportata con una revisione critica dei suoi contenuti.
Cosa possono insegnare i Millennials alle nuove generazioni di Nativi Digitali?
Sicuramente noi abbiamo molta più consapevolezza del mondo prima di internet e di conseguenza abbiamo le chiavi di lettura per immaginare quali possano essere i pericoli di una doppia vita online/offline. Siamo la generazione di mezzo, quasi nativi digitali e quasi nostalgici del mondo analogico: ciò ci dà una posizione privilegiata e ci permette di non perdere di vista cosa c’è là fuori. La vita vera è offline: spesso ce lo dimentichiamo e noi trentenni abbiamo la responsabilità di ricordarlo alle nuove generazioni.
Secondo te nel mondo di oggi tutti abbiamo bisogno di conoscere le dinamiche del digital marketing?
Certamente. Dobbiamo avere più consapevolezza di come funzionino gli strumenti, di quante informazioni cediamo all’esterno e di come la percezione della realtà venga plasmata ogni giorno dai contenuti che ci troviamo davanti. È la post-verità, nata dal mondo prima di internet e resa sempre più complessa dai social network. Ecco, tutti insieme dobbiamo ricostruire un senso critico che i media digitali ci hanno pian piano portato via e cercare di avere più consapevolezza. Temi come privacy, fake news, impegno sociale stanno pian piano diventando mainstream. Nell’era in cui il marketing è ovunque, capire come funziona non può che aiutarci a governarlo e respingerne le brutture.