La prossima primavera spegnerà cento candeline, ma lui, il dottor Ovidio Tronconi, non si scompone mai e, nonostante l’età, continua ad aiutare la comunità di Pontoglio e ad essere un punto di riferimento per i cittadini.
Abbiamo incontrato il medico più longevo dell’Ovest bresciano nella sua casa in centro al paese, a pochi passi dal Municipio. Qui ci ha accolto e ci ha raccontato una carriera che è cominciata a pochi mesi dalla fine della Seconda Guerra mondiale, nel novembre 1945. Fu a quel tempo che Tronconi – giovane medico originario di Palazzolo appena laureatosi all’Università di Pavia – fu chiamato per il suo primo vero lavoro come supplente a Pontoglio. Da quel giorno, anche se all’epoca non poteva immaginarselo, non se ne sarebbe più andato.
Com’era Pontoglio a quel tempo?
All’epoca era un paese fortemente agricolo con quelle gravi difficoltà che l’accomunavano a molti altri piccoli centri di provincia che erano stati devastati dalle conseguenze della guerra. C’erano malati, soldati che rientravano dal fronte, invalidi e persone psicologicamente debilitate. Era un mondo che fortunatamente non abbiamo più conosciuto e che si è evoluto moltissimo nel corso degli ultimi settantacinque anni. Io ho sempre cercato di mantenere la schiena dritta e di mettermi al servizio di tutti, indistintamente. Ero cresciuto a Palazzolo da padre romagnolo che era capostazione e da madre piemontese; avevo mosso i primi passi durante la guerra all’ospedale della mia città col dottor Parisio. Fu lui a dirmi che c’era bisogno di una supplenza a Pontoglio. Andai, e non tornai più.
Come ha conquistato la comunità di Pontoglio?
Credo che mi abbia voluto bene sin dall’inizio perché mi mettevo al suo servizio senza orari e con massima dedizione. Per molti anni sono stato l’unico medico condotto in paese, finché il sistema sanitario non si è strutturato com’è oggi. Avevo un ambulatorio, ma eseguivo molte visite a domicilio. Mi muovevo in bicicletta, perché all’epoca a Pontoglio c’erano solo tre o quattro automobili, ai cui proprietari a volte chiedevo aiuto per trasportare malati gravi in ospedale.
È vero che continua ad esercitare?
No, ma ho tenuto aperto l’ambulatorio, pur privato, fino al 2017. Quando sono andato in pensione avevo 75 anni, ma dopo poco tempo a casa non sapevo cosa fare. Volevo rendermi disponibile ancora. Così ho ricevuto pazienti ancora per più di vent’anni. Per me era quasi una vocazione. Ho avuto tanti interessi, ma la mia vita era la medicina. Cominciavo all’alba e finivo in serata.
Alla vigilia del secolo di vita, come sta oggi?
Ho avuto qualche problema di salute una ventina di anni fa, ma l’ho superato. Oggi posso dire che gli ingranaggi, ossia le articolazioni e gli organi, presentano qualche acciacco, ma la centralina, il cervello, funziona ancora come sempre. E non mi posso certo lamentare. Del resto la mia vita è stata intensa e piena di passione. Non mi sono mai sposato, ma ho lavorato tanto e continuo anche oggi a tenermi aggiornato sulle dinamiche del mondo attuale e sulle nuove frontiere della medicina, con riferimenti anche a campi come la bioetica. Leggo e faccio le parole crociate. Ho viaggiato molto e ho visto mondi lontani e differenti: dall’Europa all’Africa nera e quella settentrionale, fino all’ex Unione Sovietica.
Qual è il segreto per una vita longeva?
Me lo chiedono spesso, ma non ho una risposta univoca: tenere la mente lucida, una dieta mediterranea sana e variegata, camminare e fare ginnastica, lavorare ed essere positivi. Certo, poi il mio essere medico mi ha aiutato molto a individuare i problemi di salute sul nascere.
L’EVOLUZIONE DELLA MEDICINA DAGLI OCCHI DI UN DOTTORE CENTENARIO
«Quando ho cominciato a lavorare l’Italia era un Paese ferito al cuore: ora è cambiato tutto, ma non vuol dire che non vi siano problemi». Le analisi di Tronconi sono lucide e decise, frutto di un’esperienza che fa sintesi del contatto con le persone del luogo e col confronto con il mondo intero. «Partiamo subito con un punto fondamentale: non c’è paragone tra il 1945 ed oggi sotto moltissimi punti di vista – ha spiegato Tronconi –. La società tecnologica e i progressi della scienza ci hanno portato a decenni di pace e di crescita. Col passare del tempo, tuttavia, in molti si sono dimenticati come eravamo e cosa ci ha reso quelli che siamo oggi. L’educazione dei giovani, per esempio, così come le scuole e il ruolo fondamentale che i genitori rivestono sono diventati temi più complessi. Tutto ciò che concerne gli anziani non è da meno».
Per lo storico medico, la vita è ancora difficile, perché c’è chi si confronta male con la realtà. «Ad una certa età assumiamo un atteggiamento più realistico nei confronti della vita – ha proseguito il dottore –. Di certo, tra le tematiche sociali che sono emerse nei decenni c’è la stabilità familiare, che ormai è venuta meno. Per quanto riguarda la società, chi come me ha vissuto gli anni Trenta e Quaranta, valori imprescindibili sono la pace e l’umanità, l’amore verso il prossimo in quanto tale. E non dovremmo mai più tornare indietro o negoziare questi valori».
E ancora: «Non intendo dire che bisogna tornare indietro, perché oggi abbiamo delle possibilità che un tempo non si potevano neanche immaginare. La tecnologia ci ha fatto fare passi da gigante: pensate che quando ho cominciato io le diagnosi erano praticamente solo cliniche. Non avevamo la Tac, la risonanza magnetica e tutti gli strumenti che si sono sviluppati dopo. A malapena potevamo fare qualche radiografia. Per non parlare dei medicinali: non avevamo gli antibiotici, ma quando è arrivata la penicillina ha rivoluzionato tutto, così come le vaccinazioni. Quando sento i no vax mi metto le mani nei capelli: figli delle vaccinazioni che vorrebbero tornare a quando non esistevano… la gente moriva davvero di malattie che ora sono praticamente sconosciute! Oppure veniva segnata per una vita intera, come con la poliomelite, ma anche il morbillo e la parotite, solo per citarne alcune».