Di recente Orzinuovi si è riappropriata di un importante patrimonio storico: dopo undici mesi di restauri sono stati presentati alla cittadinanza gli Statuti cinquecenteschi della città. Orzinuovi aveva gli Statuti già dal 1341 – l’originale è oggi conservato in archivio di Stato a Brescia – ma ne aveva commissionato una copia a metà XVI secolo, quando ormai la città era caduta in mano veneziana. Ed è questa copia, quella del 1546, che è stata riposta nelle mani della restauratrice Laura Chignoli, che l’ha riportata all’antico splendore.
Lo Statuto – allora come oggi – era il regolamento generale di un ente o di una istituzione. Ciò significa che ogni aspetto rilevante della vita politica, economica e sociale della comunità orceana veniva in qualche modo regolato dagli oltre 200 articoli – meglio sarebbe dire capitoli – redatti in età viscontea nel XIV secolo. L’importanza di questa fonte per gli storici è perciò cruciale e per questo ogni intervento di tutela e pubblicazione di questi documenti è fondamentale per la ricerca scientifica.
Si viene così a sapere che a Orzinuovi era prevista un’assemblea di quarantotto capifamiglia che formava il Consiglio generale, vero e proprio cuore pulsante della comunità. Tra i membri del Consiglio erano scelti quattro consoli che, assieme al podestà cittadino, avevano compiti in materia giudiziaria. Fra le funzioni pubbliche nominate dagli Statuti vale la pena ricordare la presenza di due notai fissi – con l’incarico di tenere in ordine le carte comunali – di un massaro (ovvero, un rappresentante degli interessi fiscali del Comune) e di sei campari addetti al controllo delle proprietà comunali.
Inoltre, gli Statuti permettono di cogliere le condizioni della vita quotidiana nel Medioevo. Orzinuovi appare, in base a questi documenti, una comunità commercialmente sana, con macellerie, taverne, mugnai. Tuttavia, il capitolo 210 – che impone ai proprietari terrieri più ricchi di piantare un certo numero di castagne e marroni – racconta una realtà diversa. Infatti, la norma sembra essere una misura anticrisi: in caso di improvvise mancanze e morie di grano, castagne e marroni erano usati come succedanei dei farinacei. E nella stessa direzione vanno i capitoli che invitano a piantare ulivi e viti nei terreni meno produttivi.
Altri articoli lasciano intuire la profonda differenza tra la nostra mentalità e quella degli uomini del Medioevo. Piuttosto assurda ai nostri occhi è la norma che impone di non allevare capre se non per motivi di salute e solo dopo aver ottenuto l’assenso del podestà. Il capitolo 114, invece, vietava agli orceani di espletare in chiesa o nei cimiteri le più elementari funzioni biologiche. Forse ancora più strano appare il capitolo 204, che imponeva il numero massimo di donne – quattro – che potevano andare a far visita a una novella sposa. Come ha intuito però lo storico Robert Darnton, solo chi riesce a comprendere le pratiche del passato che ci lasciano perplessi può veramente dire di aver colto l’essenza di un’epoca. Ad oggi, gli Statuti orceani sono stati oggetto di studio sia per accademici come Elisabetta Fusar Poli, oggi docente all’Università degli Studi di Brescia, sia dei numerosi storici locali, come Luciano Amico.