Trote giganti e branchi di lupi che popolavano l’Oglio e le sue sponde centinaia di anni fa
Abbiamo la sfortuna di vivere in un’epoca in cui sono note a tutti – almeno a coloro che se ne vogliono rendere conto – le alterazioni che l’ambiente ha subìto negli ultimi decenni. La velocità con cui si susseguono le catastrofi climatiche rende se non altro evidente un elemento: anche la natura ha una dimensione storica, che spesso evolve a tappe molto più veloci di quanto siamo disposti a immaginare.
Così, quando si parla di Età medievale o Età moderna, a volte si ha la sensazione di trovarsi letteralmente di fronte a un «altro mondo». Basti pensare che fino agli inizi del Seicento la Valle dell’Oglio era senza campi di mais, perché fu solo allora che il cereale americano cominciò a essere coltivato sul Bresciano e sul Bergamasco. Ed era un mais molto diverso, più piccolo e dalla pannocchia meno rigogliosa di quello odierno. Erano più bassi gli uomini – la dieta era più povera – e allo stesso modo erano meno «in carne» gli animali d’allevamento (e producevano meno latte). Per non parlare della temperatura: il periodo fra Quattro e Ottocento è stato definito «piccola era glaciale», proprio per via del clima piuttosto rigido che lo ha caratterizzato. Questo significa che anche la flora e la fauna erano profondamente diverse.
Dettaglio dell’affresco del Romanino a Pisogne
In particolar modo, le sponde e gli alvei dei fiumi nascondevano animali che oggigiorno farebbero rabbrividire. Anzitutto, essendo minore la rete d’estrazione di rogge e non essendo stati costruiti gli argini artificiali attuali, tutti i principali fiumi lombardi – e l’Oglio non faceva eccezione – avevano nei secoli passati una dimensione molto maggiore di quella attuale. Nelle loro acque trovavano spazio esemplari di pesci dalle dimensioni ragguardevoli.
Nel Sebino a metà Cinquecento, come riferisce Paolo Giovio, era possibile imbattersi in trote di circa 100 libbre: a conti fatti, e convertendo le unità di misura locali, una simpatica «bestiolina» di circa 32 chilogrammi. Vero che i pescatori tendono sempre a esagerare un po’, ma sui banchi dei nostri supermercati non abbiamo mai visto qualcosa di simile. Non è un caso, perciò, che a Montisola vide la luce uno dei primi «distretti artigianali» di Antico Regime: quello della produzione delle reti da pesca. Successivamente la costruzione delle centrali idroelettriche dalla fine dell’Ottocento in poi, o la pesca non regolamentata hanno impedito a specie che popolavano l’Oglio di riprodursi e quindi ne hanno decretato la sostanziale scomparsa.
Sempre alla metà del Cinquecento la Descrittione di tutta Italia di Leandro Alberti riportava che a Palazzolo il corso del fiume era costellato di ceste di vimini usate per la cattura delle anguille, che erano conservate sotto sale e perfino commerciate all’estero: altrettanto famosa per la pesca delle anguille era la bocca del lago d’Iseo, all’altezza di Sarnico. Una pratica – ma non una fama – che si è evidentemente persa nel corso dei secoli. Popolavano il fiume anche i gamberi d’acqua dolce, che rappresentavano un’importante integrazione della dieta per i più poveri: anche una famiglia di alto lignaggio, i Gambara di Verolanuova, scelse di rappresentare questo mollusco sul proprio stemma familiare per le evidenti affinità con il loro cognome.
Bestie d’acqua quindi, ma non solo. La presenza di pericolosi carnivori nei boschi della pianura lombarda è attestata da diversi indizi. Una cappella ad Albino, per esempio, è intitolata alla Madonna del Lupo. Gli statuti medievali di Vigevano, invece, premiavano chi ne avesse catturato e ucciso un esemplare: per dare un’idea, tra il 1468 e il 1474 furono sborsati premi per trentanove lupi: cinque lupi e mezzo all’anno. A Polaveno, vicino a Iseo, sono riemerse da scavi archeologici delle fosse lupaie, scavate nei secoli passati per imprigionare e catturare questi predatori. Ma ci sono anche testimonianze «nostrane»: documenti antichi rilevano che negli inverni più rigidi i branchi si spingessero fino ai dintorni di Chiari. A Soncino, invece, nella piazza del Comune, era presente una lastra di pietra, detta proprio «pietra del lupo», dove i loro cadaveri erano messi in mostra prima di riscuotere il compenso per la loro uccisione.
La Pietra del Lupo a Soncino
La presenza di bestie feroci lungo le sponde del fiume non ha mai abbandonato l’immaginario delle genti della valle dell’Oglio: nel 1991 le principali testate giornalistiche locali riportavano la notizia della presenza nelle campagne soncinesi di misteriose impronte e segni sulle cortecce d’albero, che furono attribuite a un piccolo orso, a un lupo o addirittura a un orango. Sicuramente viva nella memoria di tutti è l’apprensione generata nel 2015 dal presunto avvistamento di una pantera o di un grosso felino nella zona delle Torbiere. Meno fantasiose, invece, paiono le notizie degli ultimi mesi, che parlano di avvistamenti di lupi sul territorio Lodigiano e Piacentino. Il passo dall’Adda, o dal Po, all’Oglio potrebbe essere molto breve e magari dovremo fare i conti, di nuovo, con la presenza di queste specie in un contesto altamente antropizzato. In una maniera, però, si spera decisamente più evoluta.