Dalla Pennsylvania a Soncino sulla scia di una poesia. Sarà capitato a tanti soncinesi di incontrare tra le viette del borgo il 67enne Craig Czury, di chiacchierare con lui e sentirlo subito amico.
Coppola calata sul viso e sorriso benevolo, il tutto addobbato da uno stile retrò inconfondibile e dalla voglia irrefrenabile di comunicare, di quella comunicazione che non ha bisogno di parole, di chi studia i gesti e scopre l’armonia dell’insieme, di chi seduto a un tavolino con una grappa, («insegnata da Cesare Pavese») sente di aver trovato sé stesso.
«A Soncino riesco a percepire il significato del tutto, di tutto quello che ho attorno, di quello che ero, di quello che sono, delle mie radici, del mio futuro», ha spiegato gesticolando all’italiana: «Nessuno si accorge che sono americano perché mi muovo come voi, lo so», ha confessato ridendo.
Craig è arrivato a Soncino per caso e non la vuole più lasciare: una serie di coincidenze lo ha portato, con la compagna Kimberly, a trovare il loro posto dove vivono diversi mesi l’anno. Lo abbiamo incontrato in una serata piovosa al Caffè Chinasky nella sua Soncino (dove si possono anche trovare i suoi libri), poco prima della partenza per l’Albania: sul tavolo un caffè americano «ma fatto all’italiana», ha puntualizzato.
Come vivi da poeta?
Ho fatto tantissimi lavori diversi quando ero più giovane, ma il punto fisso è sempre stato scrivere: lavoravo per poter continuare a fare poesia, ora mi sposto in diverse nazioni e faccio letture dei miei libri, workshop di poesia, come farò tra poco a Crema. Sono stato in Russia, Albania, Polonia, Argentina, Lituania, Messico: in tutti questi posti si vendono i miei libri, che sono stati tradotti da amici nella lingua locale. In ogni posto l’affetto e la simpatia delle persone che conosco mi fanno sempre sentire a casa: attraverso una rete di conoscenze bellissime e fitte, ho creato tante diverse piccole famiglie.
Da dove arriva l’ispirazione per scrivere?
Vivendo tra gli abbandonati, vedendo le ingiustizie, osservando quello che ho intorno, sentendo i posti e le persone. Penso che in un certo senso sto cercando me stesso nel vostro Paese perché qui c’è qualcosa che sento mio. Ho letto Italo Calvino: sono convinto che Soncino sia una delle sue Città Invisibili; c’è qualcosa di così nuovo, ma altrettanto familiare nell’arrivare qui. Le persone stanno insieme per il piacere di farlo e non solo per interesse.
Perché ti sei trasferito proprio a Soncino e che emozioni provi nel vivere qui?
Tre anni fa Kimberly ha conosciuto Aldo Villagrossi online per questioni lavorative e ci siamo incontrati qui a Soncino. Aldo è anche uno scrittore e fa tanto altro, siamo diventati subito amici e lui si è appassionato alla mia poesia. Ma la vera risposta inizia con la gente di Soncino. Soncino è bellissima e ha una grande storia alle spalle, ma le persone di Soncino hanno un cuore davvero grande, un’energia fuori dal normale, si interessano di tutto: dell’arte, del conoscere, sono sempre stati aperti all’incontro e al confronto con noi, a parlare e comunicare; è una cosa che a casa nostra avevamo perso. Soncino è quella parte di casa che nella nostra vera casa negli Stati Uniti non abbiamo mai avuto. Quella parte che abbiamo sempre cercato: è familiare e splendida.
Una curiosità: come mai non parli ancora al meglio l’italiano dopo tre anni?
Sono sempre riuscito in qualche modo a farmi capire da chi ha voluto parlare con me: la volontà di comunicare va oltre la lingua. Sono venuto qui per scrivere: il dono prezioso di vivere in posti dove non si parla inglese è che l’unica lingua che mi guida è quella che ho nella mia testa, nella mia anima.