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Cultura e Spettacoli

Elenza Monzo: un percorso dal baco da seta alla via dell’arte

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Ricordi, colori, profumi, volti, esperienze ed emozioni. Elena Monzo, pittrice orceana, classe 1981, si è raccontata e ha raccontato i suoi viaggi attraverso La via della seta, la sua ultima mostra che è diventata anche un open studio in terra soncinese.

In questo esperimento ci sono un cumulo di frammenti raccolti durante i suoi viaggi: la sintesi del percorso di crescita che le ha permesso di essere l’artista che è.

Tutti questi pezzi si sono ricomposti all’ex Filanda Meroni per regalare in un riflesso la perfezione di un’installazione armonica e unica: il baco da seta e la sua evoluzione sono protagonisti dei recenti lavori pastellati, influenzati da Cina, Giappone, Libano e, ovviamente, dalle radici di casa.

Come hai vissuto, da artista, i tuoi viaggi?
A dir la verità, l’arte moderna e contemporanea quando viaggio non mi interessano: se vivo nelle realtà all’estero presto attenzione all’ordinario per poi sfilare i particolari della cultura locale. Penso che il viaggio sia un arricchimento: senza il viaggio si può fare copia incolla di belle immagini scaricate online, ma per approfondire davvero la conoscenza di un luogo serve stare a contatto con realtà non fake (finte, Ndr). Nel viaggio da artista, o da esploratore, non vai nell’alberghetto della catena, non mangi nel fast food, né fai la fotina per poi metterla su Instagram, ma vai a ficcarti in situazioni di disagio: le vai a cercare, senti anche il brivido del pericolo e ci passi attraverso uscendone vincitore; solo così porti a casa un pezzo del posto che hai vissuto.

Com’è stato vivere a Beirut durante la residenza d’artista?
Un collage di colori, di passato e presente. Le case che portano i segni della guerra hanno accanto palazzoni di nuova costruzione, fili della corrente che penzolano; è molto decadente e mi ha affascinata da subito. Beirut è il risultato della convivenza di due religioni che cercano di coesistere: talvolta si respira un clima di tensione, anche estetico. C’è un forte contrasto tra chi vive all’occidentale e chi invece sceglie una via più tradizionale.

Giappone e Cina invece?
In Giappone serve un po’ di tempo per superare l’ostacolo della lingua e la comunicazione diventa primordiale, ma una volta trovato lo spiraglio le persone ti aprono la loro casa, ti invitano a cena semplicemente perché gli piace quello che fai. Ho scoperto pian piano la Cina vera al di fuori dalla megalopoli che è Shangai, che adesso è appiattita dallo skyline dove all’apparenza tutto è nuovo e usa e getta, ma in realtà è solo tossico.

Che approccio hanno gli stranieri con l’artista italiano?
Vedono quella sensibilità che invece qui in Italia è diventata la normalità e che non emerge più. Noi abbiamo tanto bello ovunque, ma non lo riusciamo più a vedere, purtroppo. Semmai notiamo il brutto ed è questo il contrasto che, da sempre, fa vivere e dà ossigeno ai miei lavori.

Nata a Brescia nel 1986, cresciuta a Villachiara, con la consapevolezza di aver sbagliato decade ed essersi persa i Pink Floyd a Venezia. Diplomata in un istituto turistico, ora vive a Sarnico.
Scrive da sempre, spesso di arte e amici artisti. Ha collaborato per anni con un giornale locale bresciano.

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